Rassegna Stampa 27 gennaio 2020

Imprese, economia nazionale, sviluppo … tra gli altri in settimana due spunti interessanti:

  • E’ stata lanciata La Carta di Assisi, un documento elaborato dai massimi esperti dello sviluppo sostenibile e promosso dal presidente della Fondazione Symbola Ermete Realacci, dal presidente di Coldiretti Ettore Prandini e di Confindustria Vincenzo Boccia, dal direttore della sala stampa del Sacro Convento di Assisi, padre Enzo Fortunato, dagli amministratore delegati di Enel e di Novamont, Francesco Starace e Catia Bastioli. Si parla in questo documento di un’economia a misura d’uomo contro la crisi climatica. La Carta di Assisi, dice Aldo Bonomi, “si rivolge alla scienza triste dell’economia, alle imprese, ricordandoci che se prima dell’antropocene valeva il motto weberiano “la proprietà obbliga” oggi, contro la crisi ecologica “l’innovazione obbliga”. Viene proposta da Assisi una via italiana alla lotta contro la crisi climatica a partire dalle radici del Made in Italy: saper fare, qualità, distretti, bellezza nelle nostre cento città. E viene evocato il territorio come costruzione sociale necessaria nell’epoca in cui la crisi climatica rimanda alla terra da tutelare e salvaguardare. Bonomi chiude il suo articolo così: Speriamo.
  • Mentre si riflette sulla possibilità di nuovi modelli di sviluppo le imprese italiane, da nord a sud, hanno messo un freno agli investimenti produttivi nonostante l’enorme quantità di liquidità in circolazione a cui si può accedere a costi mai stati così bassi. Troppa incertezza: politica, delle regole, commerciale.

 

Se è vero, come dice Aldo Bonomi, che “l’innovazione obbliga” ci dobbiamo chiedere come, in concreto, questa innovazione si incontra con l’Impresa 4.0 e si trasforma in economia sostenibile. Perché tutto ci serve, tranne il bluff di un sistema che si dichiara aderente ad un paradigma e continua poi a pascere serenamente nell’altro.

Ci uniamo al coro di Bonomi: Speriamo.

Di seguito gli articoli scaricabili:

Agricoltura campana_ 3,6 miliardi

Chi sfrutta la coda del 2020 mantiene il bonus maggiorato

Chimici, ingegneri, softwaristi_ introvabile 1 su 2 tra gli under 29

Credito per i beni strumentali anche per le imprese agricole

Da nord a sud, le imprese nella trappola dell’incertezza

Dai big data alla robotica, più risorse sulla Sabatini

Formazione 4.0 svincolata dai contratti collettivi

Il Meridione come un gruviera

Il primo accordo tra Usa e Cina mette all’angolo l’agricoltura Ue

Internazionalizzazione, bonus fiere anche per il 2020

Interventi in attesa di regole a regime

L’economia, la politica e il fare società a misura d’uomo

La via della sostenibilità economica e sociale

Resto al Sud riparte da tecnici e tax&legal

Ricerca e sviluppo, i costi dei contratti con gli atenei maggiorati del 150%

Startup, credito ai raggi X

Rassegna Stampa 19 Gennaio 2020

Il sentiment della business community italiana, secondo l’indicatore elaborato da The European House – Ambrosetti, conferma a fine 2019 il moderato ottimismo già espresso a settembre dal mondo delle imprese, con un valore che si attesta a +17,3 su una scala che va da -100, completo pessimismo, a +100, massimo ottimismo. Risulta in calo l’ottimismo sulla situazione a 6 mesi, che si riduce da 17,1 punti a 11,7.
Sui dati occupazionali invece l’indicatore di sentiment passa da un asfittico 2,6 a un 13,5 ma resta inferiore alla fiducia registrata in tutti gli altri ambiti e rimane a un livello assoluto particolarmente basso. Ed è in linea, per altro, con quanto si osserva anche a livello macroeconomico: i dati mostrano come il tasso di occupazione sia in costante crescita (addirittura ai massimi storici dal 1977), ma anche che a questo non si accompagna un aumento delle ore lavorate.
Si avverte la mancanza di un progetto politico, economico, sociale e culturale che guardi al di là dell’immediato per incentivare gli imprenditori e le imprese a pianificare investimenti, occupazione e crescita.
Intanto il 2019 si è chiuso nel segno della stagnazione. Molti istituti di ricerca sono pronti a scommettere che la crescita del 2020 sarà la metà di quella immaginata nella primavera scorsa con l’ultimo Documento di economia e finanza mentre il governo accredita una crescita dello 0,6%. I dati sul 2019 dicono che il manifatturiero è in calo mentre il terziario regge e garantisce una crescita di posti di lavoro pur essendo, come detto, lavoro povero e mal pagato, spesso part time. Se stagna l’economia, quindi, è anche per via delle condizioni dei lavoratori che riducono i consumi.
Ma non sarebbe un gran bel tema per chi fa politica tornare a parlare del lavoro e dei (ma anche coi) lavoratori?

A Napoli parte l Academy 5G

Accenture a Napoli

Blockchain in attesa della killer app

Economia circolare competitiva

Gli inganni della sostenibilità

Innovare vale un occupato su tre

L’Italia è ferma

La corsa delle Big Tech

LA RESILIENZA DEGLI IMPRENDITORI per combattere le incertezze

La sfida di Napoli sulle start up nasce un impresa al giorno

Via alla piattaforma per consuotare i dati sull innovazione

Rassegna Stampa 13 gennaio 2020

A novembre, per il nono mese consecutivo, l’indice complessivo della produzione industriale ha ceduto segnando una variazione tendenzialmente negativa. Il 2019 della manifattura chiude in negativo e non accadeva da cinque anni.

Secondo il viceministro dell’Economia Antonio Misiani serve una politica industriale che segni una nuova alleanza tra Stato e privati con uno Stato investitore paziente e motore di innovazione. Inoltre, dice Misiani, l’Italia ha bisogno di grandi imprese, senza le quali nell’economia globale non si è protagonisti ma solo gregari. Per questo il Governo ha previsto nella Legge di Bilancio il piano di investimenti pubblici da 58 miliardi per ambiente e infrastrutture sociali quindi ora serve presto e bene tutte le risorse disponibili per realizzare progetti orientati alla riconversione ecologica dell’economia.

Due idee su come rilanciare la produttività nel nostro Paese arrivano anche da Stefano Firmo e Andrea Tavecchio secondo i quali il fisco può fare molto, favorendo gli investimenti a maggior contenuto di rischio, di innovazione e tecnologia come si è fatto con il Piano Industria 4.0. “Vale la pena ricordare”, dicono “come nel biennio di piena operatività del piano (2016 e 2017), la produttività del lavoro è cresciuta dell’1,2 per cento, quella del capitale del 2,5 per cento e la TFP del 2,1 per cento”. E inoltre “occorre un sistema fiscale più equo, semplice e moderno capace di riequilibrare i pesi contributivi, riducendo il carico fiscale sul lavoro e sui ceti produttivi, liberando risorse a favore degli investimenti pubblici..”. Bisogna riformare l’Irpef, abbassando il carico fiscale su chi lavora, e mettere mano a una revisione della tassazione dei consumi, anche toccando in modo selettivo l’IVA.  E per ampliare la platea dei contribuenti “bisogna mettere mano alla dichiarazione dei redditi delle persone fisiche in modo che questa non afferisca (quasi) al reddito, ma dia una visione anche della situazione patrimoniale dei contribuenti”. Questa ricetta sulla contribuzione tiene in debita considerazione l’evoluzione in corso della nostra realtà sociale italiana nella quale -come si dice nell’ultimo lavoro di Luca Ricolfi “La società signorile di massa” in cui spiega- il combinato disposto di ricchezza accumulata, alte percentuali di inoccupati e giovani NEET, scarsa natalità e rapido invecchiamento della popolazione, porta a una condizione di apparente benessere generalizzato sostanzialmente dovuta alla presenza di immigrati sottopagati e alle attese di eredità di una parte importante della popolazione più giovane.

Veramente l’Italia non è un Paese per giovani?

Di seguito gli articoli scaricabili:

Aiuti 4.0 anche alle microattività

Dalla svolta sostenibile spinta al made in Italy

DUE IDEE PER CAMBIARE L’ITALIA

Formazione, ogni euro speso 9 di benefici

Indicazioni ad hoc per il debutto della revisione nelle nano-imprese

Istat_ l’economia resterà debole Industria, produzione ferma

L’industria non riparte più_1

L’industria non riparte piu_2

duemiladiciannove 4.0: Un anno di trasformazione digitale in 36 articoli

Una meta-rassegna che parla di uno sguardo possibile sui fatti della contemporaneità e che presenta (in 2 dei 36 contributi) le elaborazioni più recenti e le esperienze che stiamo realizzando all’interno di Societing 4.0, un programma di ricerca-azione sulla social digital transformation.

Attraverso una selezione degli articoli che abbiamo letto in questo 2019, alla fine raccontiamo molto di noi. A partire dagli argomenti selezionati: intelligenza artificiale, robot, tecnologie, innovazione; agrifood, cibo, agritech; pmi, industria 4.0. Si tratta di macro-temi che sono coerenti con la nostra missione: studiare e sperimentare un modello di sviluppo, trasformazione e innovazione che sia sostenibile per le specificità socio-economiche dell’Italia, con un approccio che considera insieme l’innovazione sociale e l’innovazione tecnologica.

 

… riusciranno i nostri eroi…?

L’indice Eides (European Index of Digital Entrepreneurship Systems) dice che in Italia sono elevati i tassi di imprenditorialità nei settori tradizionali, ci sono tante iniziative di supporto sul territori, è buono anche il livello di maturità delle nostre imprese e la loro capacità di competere sui mercati internazionali. L’Italia dispone inoltre di un mercato interno particolarmente sviluppato, con una domanda che chiede soluzioni di qualità. Ciò nonostante, la componente digitale dell’indice Eides segnala un’adozione insufficiente delle tecnologie tra cittadini, imprese e pubblica amministrazione (e-government); un livello ancora basso di affidabilità dell’infrastruttura digitale e ampi margini di miglioramento per lo sviluppo di leggi e regolamenti a tutela della riservatezza nell’uso dei dati e della sicurezza del consumatore.

Eides evidenzia inoltre bassi valori sugli indici relativi alla presenza di norme sociali e culturali che supportano la creazione di un ambiente favorevole all’imprenditorialità e condizioni non del tutto favorevoli all’identificazione, lo sfruttamento e la scalabilità di nuove opportunità nella digital economy. Le startup digitali italiane partono svantaggiate e continuano ad esserlo ancora di più anche nella fase di scaleup. Il nostro contesto produttivo ha elementi molto positivi e difficoltà croniche che riducono le potenzialità delle imprese. Qualcosa in realtà sembra essersi mosso, se è vero che nel 2018 gli investimenti sulle starup sono cresciuti dell’81%, guidati dagli internazionali, con operazioni più numerose e di maggior valore. Inoltre ci sono migliaia di imprese che rappresentano delle eccellenze in diversi settori produttivi.

Si tratta di realtà che mostrano successi superiori a quelli dei ricchi distretti tedeschi. In realtà l’Italia ha anche un’altra eccellenza che si trova nell’industria creativa, un sistema che genera più valore aggiunto della sanità, ha all’incirca gli stessi impiegati del settore delle costruzioni e cresce di più dell’economia nazionale. Secondo il rapporto “Io sono Cultura”, realizzato dalla Fondazione Symbola e da Unioncamere, nel 2018 il sistema produttivo culturale e creativo in Italia ha sfiorato i 96miliardi di euro, il 6,1% del Pil, crescendo del 2,9% in termini di valore aggiunto e dell’1,5% per occupati, a fronte di dati dell’economia nazionale fermi rispettivamente a +1,8% e +0,9%. A dirci che siamo migliori di come ci immaginiamo è il rapporto I.T.A.L.I.A, di Fondazione Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison. L’Italia è tra i primi 10 Paesi al mondo per investimenti in ricerca e sviluppo ma solo il 13% degli italiani ne è consapevole, e addirittura quasi uno su due (45%) la ritiene una notizia poco attendibile. Con il 76,9% siamo il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti, più del doppio della media comunitaria (36%). All’estero cresce la domanda di Italia: le ricerche on line relative al made in Italy e alle parole chiave adesso riconducibili –un fondamentale indicatore della notorietà e del desiderio dei prodotti italiani nel mondo –è cresciuto del 56% tra il 2015 e il 2018.

Ci immaginiamo che questi dati siano ben presenti ad attori forti come Amazon che non si sarà lasciato sfuggire questa tendenza anzi, forse l’ha anche sostenuta avendo già capitalizzato vari accordi con associazioni di categoria locali per un totale (ad aprile 2019) di 12mila Pmi già in vetrina. Con un aumento del giro d’affari di questo nuovo canale dell’export ancora non molto battuto dalle nostre imprese – spesso restie ad affacciarsi al mondo dell’e-commerce – che solo per Amazon ha raggiunto la cifra tonda di 500milioni. e che fa presagire la possibilità di superare il miliardo di euro di beni italiani esportati nel mondo entro il 2020. Persone e organizzazioni si devono trasformare. Le posizioni dei più oscillano: da una parte gli apocalittici e dall’altra i tecno-ottimisti. Per esempio sulla presenza dei robot nei posti di lavoro c’è chi intravede un rischio per l’occupazione, mentre i super ottimisti vedono soprattutto la possibilità che la robotica possa portare in ufficio maggiore efficienza.. Nella primavera del 2018 al MIT si è insediata la “task force sul lavoro del futuro” con l’obiettivo di trovare riscontri «alla retorica allarmistica» relativa alle tecnologie. La ricerca è ancora in corso ma una prima serie di risposte è già arrivata.

In estrema sintesi dice che i robot non ci rubano il lavoro ma lo cambieranno con due effetti molto precisi: il primo è che alcuni — quelli bravi col digitale — guadagneranno molto di più; il secondo è che moltissimi guadagneranno molto di meno. Il problema che abbiamo davanti non è la quantità di lavoro, «che anzi aumenterà moltissimo nei prossimi venti anni». Il problema è la qualità del lavoro. In realtà le aziende non sono ancora preparate a questa rivoluzione e ancora di più non lo sono le persone: i sistemi educativi, secondo alcuni, non sono reattivi alla richiesta di competenze delle imprese. Il sistema di formazione continua italiano, secondo questa prospettiva, non è attrezzato per le sfide del futuro: solo il 20 per cento degli adulti in Italia ha partecipato a programmi di formazione professionale rispetto a una media Ocse del 40 per cento, con grandi differente tra lavoratori già altamente qualificati e lavoratori con basse qualifiche che quasi non partecipano alla formazione continua. Servono nuove tipologie di apprendimento e serve migliorare la pertinenza della formazione degli adulti sul lavoro oltre che l’istruzione dei giovani, adattando i curriculum scolastici. La trasformazione del sistema produttivo sta accelerando, dunque con grandi differenze tra le imprese più efficienti e innovative e le altre.

Le ricette che abbiamo raccolto sono almeno due, servono: – una politica economica “seria” con più supporto alla ricerca e al 4.0; regole sul mercato del lavoro più flessibili; investimenti in capitale umano, università e ricerca; alleggerimento del carico burocratico e fiscale; trattamento fiscale favorevole alla capitalizzazione delle imprese; – un cambiamento dei modelli business (anche delle Pmi) per cogliere le occasioni di Industria 4.0:

  • efficientamento dei processi, della riduzione dei costi e del miglioramento della produttività, abilitando su larga scala la capacità di produzione personalizzata;
  • ripensamento dei prodotti, l’introduzione di nuovi servizi pre e post-vendita e il miglioramento della capacità di reagire rapidamente alle esigenze del mercato;
  • sfruttamento delle proprie potenzialità per organizzare, integrare e disciplinare le filiere produttive, passando da un modello frammentato a uno interconnesso che permetta alle Pmi italiane di operare congiuntamente per fornire un prodotto competitivo. L’aggregazione faciliterà anche il loro accesso alle risorse finanziarie, tecnologiche e, più in generale, alle fonti di conoscenza, fermando una volta per tutte il fenomeno della delocalizzazione produttiva

Se proviamo ad unire i puntini che abbiamo messo su questo foglio, ci possiamo immaginare che la spinta creativa e adattiva delle imprese italiane, valorizzando i loro asset e con il supporto del sistema della conoscenza e della formazione, possa definire una trasformazione coerente con il Green New Deal europeo proponendo, finalmente, un modello mediterraneo. Un modello nuovo e insieme più allineato alle nostre caratteristiche storico-culturali, che potrebbe presentare una valida alternativa a quel modello Silicon Valley che, come dice Adam Arvidsson nell’articolo di dicembre, è in crisi per assenza di fantasia. Adam chiude l’articolo dicendo “Se il modello Silicon Valley si sta esaurendo è soprattutto per questo motivo, manca un’idea di che tipo di mondo costruire con le tecnologie digitali, un’idea di un futuro diversa dal presente”. Italia 2020: idee di futuro ne abbiamo?

Scarica la nostra strenna di fine anno e buona lettura!

duemiladiciannove 4.0

Rassegna Stampa 16 dicembre 2019

Industria 4.0 tra revisioni, sostegni e nuove figure professionali, ecco di seguito tutte le ultime news:

 

A Grottaglie l’hub di sperimentazione

Bonus ricerca esteso a innovazione e design

Ecco le vie dell’oro dell’export italiano

Hi tech, alle imprese servono centomila profili digitali

Il sistema startup in cerca di sostegno

Salta la deduzione Industria 4.0

start up che danno una mano

Tre anime e un polo hi-tech per alimentare la crescita

UNA SANA POLITICA INDUSTRIALE UE E LA REVISIONE DI INDUSTRIA 4.0

Rassegna Stampa 9 Dicembre 2019

Le tre associazioni di rappresentanza degli imprenditori di Francia, Italia e Germania hanno chiesto insieme ai loro tre governi di orientarsi su priorità comuni e  di penare a riforme strutturali in una logica europa. E’ successo in occasione del primo Business Forum trilaterale e la richiesta è stata di promuovere un #modelloeuropeo che possa soddisfare una duplice ambizione: rafforzare la sovranità e la competitività dell’Unione per fare dell’Ue un attore globale, nonché garantire la crescita, l’occupazione, il benessere e la prosperità dei suoi cittadini. 

Di fronte a quella che è stata definita una vera e propria guerra commerciale senza precedenti, le tre associazioni hanno avanzato le seguenti richieste:

  1. Accordarsi su un Quadro finanziario pluriennale fortemente orientato alla crescita e alla competitivà favorendo gli investimenti pubblici nazionali e la promozione degli investimenti privati, mediante adeguati regimi fiscali e di incentivazione;
  2. Finanziare l’economia verde: sono necessari programmi nazionali di promozione degli investimenti molto più completi per far crescere le imprese europee; 
  3. Sostenere la leadership digitale europea favorendo la creazione di un ecosistema che garantisca la disponibilità soprattutto dei dati pubblici, un’infrastruttura europea dei dati sicura e affidabile e la promozione di nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale;
  4. Sfruttare in modo incisivo l’enorme potenziale del mercato unico e definire un’ambiziosa strategia di politica industriale europea pronta a sostenere lo sviluppo di tecnologie abilitanti. Inoltre, tale strategia industriale dovrà essere accompagnata da una rivitalizzazione della nostra politica di concorrenza, presupposto essenziale affinché le centrali tecnologiche europee di domani siano in grado di competere a livello internazionale con i loro concorrenti americani e cinesi;
  5. Promuovere con determinazione scambi e investimenti internazionali aperti ed equi e difendere i propri interessi nell’ambito dei conflitti commerciali. Sarà cruciale fare un uso più deciso della politica commerciale europea per contrastare le misure unilaterali di distorsione del commercio dei suoi principali partner commerciali, in particolare gli Stati Uniti e la Cina.

Gl imprenditori europei chiedono ai loro governi e all’Europa di muoversi compatti, con visione e determinazione. Proprio nel momento in cui pare che mondi potenti, come quello della Silicon Valley, mostrino il fianco a causa della mancanza di visione di futuro.

Il #modelloeuropeo saprà essere il modello sociale che spinge in una direzione nuova l’economia?

 

Di seguito gli articoli scaricabili:

che affari nello spazio la new economy va in orbita

Unire le energie delle imprese per creare una Europa più forte

Voucher alle startup innovative per valorizzare brevetti e investimenti

Territorio e mobilità urbana La spinta «verde» della Bei

Sale a 100 miliardi il fondo per finanziare il Green deal Ue

Serve una politica industriale europea Puntiamo alla leadership tecnologica

Robin Tax, 3,5% solo sui trasporti Impresa 4.0 con credito d’imposta

ora parliamo di produttività

L’INTRECCIO DI LOCALE E GLOBALE LEVA DI CRESCITA E INVESTIMENTI

la guerra dei biscotti

Intelligenza e competenze per radicare la meccatronica

Il secondo livello ritocca salario e welfare Manca all’appello il Sud

Ecco chi sforna i super tecnici del pianeta biotech e farmaci

il modello silicon valley in crisi per assenza di fantasia

Dagli italiani addio a mattone e BoT Sprint Emilia-Nordest

Fondi per l’innovazione al Sud

Coop sociali crescono con green e turismo

CINQUE MOSSE PER UN MISE AL PASSO COI TEMPI

Aule e ricerca per coltivare il sogno dell’eco-plastica

Rassegna Stampa 2 Dicembre 2019

Industria 4.0 può essere un’occasione per le imprese italiane, anche piccole, per cambiare le regole del gioco a proprio vantaggio. Può accadere se si coglie l’occasione non solo di comprare tecnologia ma, molto più sfidante, di disegnare nuovi modelli di business.

Significa ripensare i processi di produzione, riducendo i costi e si tratta anche di ripensare ai prodotti, introducendo magari nuovi servizi pre e post vendita. Il consiglio del Prof. Bagnoli (Università Ca Foscari) è di passare ad un modello interconnesso tra PMI che operino congiuntamente per fornire prodotti competitivi. Per altro la creazione di network di imprese potrà anche facilitare l’accesso alle risorse finanziare, tecnologiche e alle fonti di conoscenza.

E in effetti queste indicazioni sembrano proprio quelle che cominciano a dare risultati. In settimana è uscito una classifica del Sole 24Ore realizza con una società leader mondiale dell’analisi statistica, che ha individuato 400 imprese Leader della crescita 2020.

Dall’analisi fatta su queste aziende emergono 4 leve di sviluppo che sembrano aver spinto il business di molte fra le società dell’elenco: il boom del commercio elettronico, che ha sostenuto il business non solo dei migliori siti di e-com ma anche delle società di consulenza digitale e di trasporto merci; il digitale, che pervade tutti i settori; la sostenibilità, cioè energia pulita e prodotti biologici o naturali; la rivoluzione 4.0  che ha evidentemente prodotto effetti anche sul fatturato, aumentato per molte medie imprese del manifatturiero hi-tech.

Ed è molto interessante il commento fatto da una partner della società che realizza questi ranking in tutto il mondo: “Resto sempre ammirato dalla capacità delle aziende italiane di lavorare spesso in ambiti tradizionali, come l’alimentare o il design, ma sempre con un twist intelligente e innovativo o incorporando tecnologie all’avanguardia. Proprio la combinazione di questi due ingredienti crea i campioni della crescita made in Italy”.

Quindi abbiamo ragione? Tradizione e innovazione possono convivere e fare insieme la differenza?

Qui il nostro punto di vista sulla faccenda…

Di seguito gli articoli scaricabili:

E ora la piattaforma corteggia il Made in Italy

Etica e impresa non sono antagonisti

Fondi Ue, ancora 40 miliardi di opportunità per le Pmi

Giovane, digitale e vende online

INDUSTRIA 4.0, RIVOLUZIONE A METÀ senza nuovi modelli di business

Innovation manager, 10 giorni in piu

L’energia pulita spinge il business

La riforma riapre il mercato dei Pir

La scalata delle giovani imprese

Le Pmi del made in Italy nella corsa agli incentivi per gli investimenti

Professionisti, «Resto al Sud» a progetti con Ateco diverso

Tracciabilità e controlli in corsa

Un «taxi express» per i prodotti delle Pmi

Rassegna Stampa 25 Novembre 2019

Fermo immagine sul contesto: si torna a parlare di crescita zero! Altro fermo immagine necessario e, a quanto pare, da collegare immediatamente al primo: la competitività delle imprese italiane si è fermata 50 anni fa.

E, attenzione, terzo fermo immagine: non è vero che l’unico punto di forza su cui puntare sono le Pmi manifatturiere del Nord del Paese dato che il nostro manifatturiero rappresenta meno del 18% del Pil (il resto sono servizi — professioni, turismo, banche e assicurazioni, comunicazioni, trasporti e commercio, utilities) e non è vero che si possa puntare sulle Pmi, perché i motori della crescita della produttività e della economia sono le grandi imprese sia industriali sia di servizio.

Come se non bastasse non è neppure così vero che sono importanti i piccoli centri urbani dove il rapporto tra le Pmi e il «territorio» è considerato chiave perché il mondo sviluppato va nella direzione delle grandi città come Milano che diventano sempre più hub innovativi di servizi e di knowledge economy, perché attraggono le aziende più innovative del mondo, i migliori talenti, ottime università, offrono servizi (per esempio sanità), tecnologia e finanza innovativa e attraggono anche residenti e turisti.

E allora, come se ne esce?

Roger Abravanel, che propone questa analisi sul Corriere di domenica, dice che per evitare di perdere l’occasione della rivoluzione economica digitale è necessario cambiare radicalmente paradigma economico. E il paradigma che propone è un passaggio dai «distretti industriali» e dalle Pmi sul «territorio» a grandi imprese in grandi città innovative che creano high value jobs per laureati in università meritocratiche. Servono imprese competitive che abbiano come clienti grandi imprese globali. Bisogna passare, quindi, ad un’economia di imprenditori e manager per realizzare un cambiamento epocale.

Di front a questa analisi così lucida ci chiediamo, ora: come si realizza questo grande cambiamento? E può coesistere questo nuovo paradigma con il nostro modello mediterraneo?

Di seguito gli articoli scaricabili:

Campania, nuova identità dal Sud la sfida-efficienza

Così le Pmi possono crescere al passo dei big

CRESCITA VERA SOLTANTO SBLOCCANDO GLI INVESTIMENTI INFRASTRUTTURALI

Giungla” di norme e regolamenti imprese ostaggio della burocrazia

I MITI E LE IDEE SBAGLIATE CHE FRENANO L’ECONOMIA

Innovation manager, via libera al cumulo con il bonus R&S

Meccanica e plastica, il 60% delle Pmi verso l’industria 4.0

Pochi laboratori e tirocini al palo Scuola-lavoro frenata da 10 criticità

Start-up, nuovi investimenti, export_ Bari cambia passo sulla innovazione

Cdp, fondo per l’innovazione in Piemonte_

Rassegna Stampa 18 Novembre 2019

L’Italia fa “eco-tendenza” e mostra come la reazione delle imprese alla crisi sembra essere la green economy. Secondo lo studio realizzato da Symbola e Unioncamere il 2019 è l’anno dei record con il picco di eco-investimenti che hanno riguardato 300mila imprese. E il «green» non è un settore, ma una dimensione ormai imprescindibile dell’impresa che riguarda molti ambiti: l’agroalimentare, l’arredo-casa, l’automazione, l’abbigliamento tessile e la concia, l’edilizia, la chimica, …

Anche il lavoro green cresce: dal 2017 al 2018 i lavoratori del settore sono cresciuti di 100mila unità, creando occasioni di lavoro soprattutto per i giovani che hanno la tendenza ad investire nella green economy (il 47 per cento delle aziende guidate da under 35 ha investito nella green economy contro il 23 per cento di quelle gestite da over 35). Ci sono nuove figure professionali come gli energy manager o quelli che si occupano di economia circolare e crescono anche figure tradizionali che sviluppano competenze di sostenibilità.

Insieme a queste competenze il sistema delle imprese chiede alla ricerca e all’università di favorire la creazione e diffusione di competenze tecniche, insieme però allo sviluppo di soft skills: per affrontare la complessità del presente servono competenze integrate e ibride che siano conoscenze tecniche e umanistiche, insieme ad abilità di lettura di contesti e gestione delle relazioni.

Gli attori dei territorio sono connessi tra loro e i singoli sistemi territoriali devono rapportarsi con il resto del mondo. Anche in Italia.

Invece che viverla come una sfida non potremmo coglierla come una bella opportunità?

Di seguito gli articoli scaricabili:

Alta velocità, via alla Bari-Napoli Investimento da 6,2 miliardi

Fondi per l’industria e il digitale

Imprenditori e manager

IMPRESE SOCIALI TORNARE AL CENTRO

L’azienda cambia i processi nell’ottica «data driven»

L’Italia può e deve cogliere i benefici del mondo digitale

Modello smart company, se la Pmi può diventare Netflix

NEL VERDE 3 MILIONI DI POSTI

Più manager nelle pmi, così riparte l’economia

Pmi Day, fabbriche aperte per 46mila ragazzi italiani

Sarà realizzato a Torino il data Center di Tim e Google

Serve contaminazione dei saperi e una ricerca su progetti mirati

Soluzioni su misura per accompagnare la crescita delle Pmi

Umanesimo digitale, alleanze e territorio_ il Politecnico di Milano riscrive la missione di servizio all’impresa

 

Rassegna stampa 11 novembre 2019

Cosa c’è…

 

  • Il 7 novembre si aprono i termini per la compilazione sul sito dello Sviluppo economico delle domande relative ai voucher per gli innovation manager (fino a 25mila euro per medie imprese, fino a 40mila per micro e piccole), finanziati per il primo anno con 75 milioni;
  • Il 12 novembre si aprono i termini per presentare i progetti per ottenere contributi diretti e finanziamenti agevolati previsti dagli Accordi per l’innovazione nei settori Fabbrica intelligente, Agrifood, Scienze della vita e Calcolo ad alte prestazioni (190 milioni disponibili);
  • Dal 15 ottobre sono aperti i termini per gli Accordi per l’innovazione nel settore della space economy (100 milioni)
  • Il 26 novembre si apre il bando da 329 milioni su Grandi progetti per ricerca e sviluppo nei settori Agenda digitale e Industria sostenibile.

 

Non ci sono ancora date precise per accedere ai 265 milioni che il ministero dello Sviluppo ha appena annunciato per investimenti innovativi nelle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.

 

… lo stato di avanzamento del decreto crescita …

Il decreto crescita aveva previsto una pioggia di microincentivi che ancora oggi sono praticamente tutti fermi:

  • 140 milioni di euro per agevolazioni a progetti di ricerca sull’economia circolare;
  • voucher destinati alle startup che vogliono brevettare i loro prodotti;
  • agevolazioni finanziarie destinate a progetti di trasformazione digitale delle Pmi;
  • credito di imposta per la partecipazione alle fiere;
  • Fondo per supporto alle aziende che si iscrivono al registro dei marchi storici;
  • Piano grandi investimenti nelle zone economiche speciali.

 

… e cosa manca

Secondo Carlo Robiglio (Presidente di Piccola Industria d Confindustria) la riconferma di Industria 4.0, come previsto dal Governo, è troppo poco e soprattutto si tratta di interventi non sistemici che hanno una vista corta e non invece una dimensione strategica di medio-lungo periodo. «Manca una visione di politica industriale di medio periodo. Con la plastic tax e con la sugar tax si colpiscono i prodotti e non i comportamenti. Se vuoi cambiare le abitudini devi incentivare le buone pratiche.  … L’impressione è che non ci sia un disegno di politica economica per far crescere il paese e nemmeno la spinta ad un vero green deal, ma l’esigenza immediata di fare cassa», dice Robiglio.

 

Tasse, leva fiscale, incentivi, …: chi deve disegnare le politiche pubbliche che abbia come orizzonte di attuazione almeno i prossimi 5 anni?

Di seguito gli articoli scaricabili:

Boccia_ non fa crescere il Paese punire l’industria con le tasse

Copia di Pe4k6O-Default.ashx

Fermi ai box 500 milioni di incentivi

Gradualità, incentivi, limiti

Il bonus Sud non colma il divario di competenze

Ima alleata con il Mit a Boston per la manifattura del futuro

Parte Simple 5 aziende in rete per i sensori che prevengono i guasti

Per il business della sicurezza si apre la sfida di digitrale e 5G

Plastica, le tasse non servono meglio investire sul riciclo

Pmi_ grazie ai brevetti, credito e ricavi in crescita fino al 30%

Riqualificare la forza lavoro è ora un’occasione

 

Scroll to top
Quanto sei digitale